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Sommario

  • La misurazione delle emissioni Scope 1, 2 e 3 diventa obbligatoria per molte aziende europee entro il 2026 secondo la CSRD
  • Le tempistiche variano in base a dimensioni aziendali, fatturato e numero di dipendenti
  • Il reporting ESG richiede una strategia strutturata e responsabilità definite a livello manageriale
  • La normativa UE GHG impone standard specifici per il calcolo e la rendicontazione delle emissioni

La questione del quando misurare emissioni scope 1 2 3 rappresenta oggi una delle sfide strategiche più rilevanti per il management aziendale. Con l’entrata in vigore della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), le aziende europee si trovano di fronte a scadenze precise e requisiti normativi stringenti. La capacità di misurare emissioni scope 1 2 3 non è più solo una best practice di sostenibilità, ma un obbligo normativo che richiede pianificazione, risorse dedicate e competenze specifiche.

Tempistiche normative e calcolo emissioni: il quadro europeo 2024-2026

Il panorama normativo europeo ha subito una profonda trasformazione con l’introduzione della CSRD. Le aziende devono prepararsi a scadenze differenziate basate su criteri dimensionali specifici.

Per le grandi imprese già soggette alla Non-Financial Reporting Directive (NFRD), il calcolo emissioni secondo gli standard ESRS è già operativo dal 2024, con primo report da pubblicare nel 2025. Le grandi aziende non quotate che superano almeno due dei seguenti criteri – 250 dipendenti, 50 milioni di euro di fatturato, 25 milioni di euro di attivo patrimoniale – dovranno iniziare la raccolta dati nel 2025 per il primo report nel 2026.

Le PMI quotate hanno tempo fino al 2026 per iniziare il processo di misurazione, con possibilità di opt-out fino al 2028. Questo calendario progressivo permette alle organizzazioni di strutturare gradualmente i propri sistemi di calcolo emissioni, ma richiede una pianificazione immediata per essere conformi alle scadenze.

La Tassonomia UE, operativa dal 2022, richiede già oggi la disclosure di specifici KPI ambientali per le aziende soggette. Questo framework si integra con i requisiti CSRD creando un sistema normativo complesso ma coerente.

Reporting ESG e responsabilità organizzative: chi fa cosa

La strutturazione delle responsabilità per il reporting ESG richiede un approccio multidisciplinare che coinvolge diverse funzioni aziendali. Il Consiglio di Amministrazione mantiene la responsabilità ultima della supervisione strategica e dell’approvazione dei report di sostenibilità.

Il Chief Sustainability Officer, figura sempre più diffusa nelle organizzazioni, coordina le attività di misurazione e garantisce l’allineamento con gli standard internazionali. Il CFO e il team finance assumono un ruolo centrale nel garantire l’accuratezza dei dati e l’integrazione del reporting ESG con quello finanziario.

I responsabili operations e supply chain forniscono i dati primari per Scope 1 e 2, mentre il procurement diventa fondamentale per la raccolta dati dello Scope 3. L’IT supporta con sistemi di data management adeguati, mentre HR gestisce gli aspetti sociali del reporting.

Questa struttura matriciale richiede governance chiare e processi ben definiti. Molte aziende stanno istituendo comitati ESG interfunzionali che si riuniscono mensilmente per monitorare progressi e risolvere criticità operative.

Normativa UE GHG: standard e metodologie di misurazione

La normativa UE GHG stabilisce requisiti precisi per la misurazione delle emissioni aziendali. Il GHG Protocol rimane lo standard di riferimento, integrato dagli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) che definiscono metriche e metodologie specifiche.

Per lo Scope 1, le emissioni dirette da fonti controllate dall’azienda, la normativa UE GHG richiede l’applicazione di fattori di emissione verificati e aggiornati annualmente. Lo Scope 2, relativo all’energia acquistata, deve essere calcolato sia con metodo location-based che market-based, permettendo di valorizzare gli acquisti di energia rinnovabile certificata.

Lo Scope 3 presenta le maggiori complessità operative. La normativa richiede la valutazione di materialità per identificare le categorie rilevanti tra le 15 definite dal GHG Protocol. Per settori ad alto impatto come manifatturiero, retail e servizi finanziari, almeno 8-10 categorie risultano tipicamente materiali.

L’accuratezza dei dati diventa cruciale: la normativa prevede livelli di assurance differenziati, con limited assurance obbligatoria dal 2026 e reasonable assurance prevista dal 2028 per le grandi aziende.

Manager emissioni: competenze e strumenti necessari

Il ruolo del manager emissioni si sta evolvendo rapidamente, richiedendo competenze tecniche sempre più sofisticate. La comprensione approfondita degli standard internazionali rappresenta il punto di partenza, ma non è sufficiente.

Le competenze analitiche per interpretare grandi volumi di dati e identificare trend significativi sono fondamentali. Il manager emissioni deve padroneggiare strumenti software specializzati per il carbon accounting, che vanno dalle soluzioni enterprise come SAP Sustainability Control Tower o IBM Environmental Intelligence Suite, a piattaforme cloud-native come Persefoni o Watershed.

La capacità di engagement con gli stakeholder interni ed esterni diventa critica. Fornitori, clienti e investitori richiedono sempre più trasparenza e dettaglio nei dati di emissione. Il manager deve saper tradurre complessità tecniche in messaggi comprensibili per diversi pubblici.

La formazione continua è essenziale: certificazioni come quelle offerte dal GHG Management Institute o dal Carbon Trust forniscono credibilità professionale e aggiornamento costante su metodologie e best practice internazionali.

Dati e tendenze: il panorama italiano ed europeo

Secondo il report 2024 della Commissione Europea, solo il 42% delle aziende europee con oltre 500 dipendenti ha sistemi strutturati per misurare emissioni scope 1 2 3. In Italia, questa percentuale scende al 38%, evidenziando un gap significativo rispetto ai requisiti normativi imminenti.

I dati CDP (Carbon Disclosure Project) 2024 mostrano che le aziende che misurano completamente lo Scope 3 sono aumentate del 23% rispetto al 2023, ma rappresentano ancora solo il 35% del totale. Le categorie Scope 3 più frequentemente misurate sono: beni e servizi acquistati (67%), trasporto e distribuzione upstream (54%), viaggi di lavoro (48%).

L’investimento medio per implementare un sistema completo di misurazione varia tra 150.000 e 500.000 euro per le medie imprese, mentre le grandi aziende possono arrivare a investire oltre 2 milioni di euro includendo consulenza, software e risorse interne dedicate.

Il tempo medio di implementazione per un sistema completo è di 12-18 mesi, con le maggiori criticità nella raccolta dati dai fornitori (citata dal 78% delle aziende) e nella definizione dei confini organizzativi (65%).

Per approfondire le strategie di implementazione e gli strumenti disponibili, consulta le FAQ emissioni 2025 nella nostra guida completa alla Green Life Policy.

FAQ – Domande frequenti sulla misurazione delle emissioni

Quali aziende devono obbligatoriamente misurare le emissioni Scope 1-3 nel 2026?

Le grandi imprese non quotate con più di 250 dipendenti e che superano 50 milioni di fatturato o 25 milioni di attivo patrimoniale devono iniziare la misurazione nel 2025 per reportare nel 2026. Le PMI quotate possono posticipare fino al 2028 con opt-out formale.

Come si calcolano le emissioni Scope 2 con il metodo market-based?

Il metodo market-based considera i contratti specifici di fornitura energetica dell’azienda. Se si acquista energia rinnovabile certificata, le emissioni Scope 2 possono essere significativamente ridotte o azzerate, diversamente dal metodo location-based che usa il mix energetico medio nazionale.

Quali categorie Scope 3 sono più rilevanti per il settore manifatturiero?

Per il manifatturiero, le categorie tipicamente materiali includono: beni e servizi acquistati, trasporto upstream/downstream, processamento dei prodotti venduti, uso dei prodotti venduti e fine vita dei prodotti. Queste possono rappresentare oltre l’80% delle emissioni totali.

Il reporting ESG richiede certificazione esterna obbligatoria?

Sì, la CSRD richiede limited assurance obbligatoria dal 2026 per le grandi aziende, con evoluzione verso reasonable assurance prevista dal 2028. I revisori devono essere accreditati secondo standard specifici definiti dalla normativa europea.

Come gestire i dati mancanti nel calcolo emissioni Scope 3?

Gli standard permettono l’uso di dati proxy e stime basate su database settoriali quando i dati primari non sono disponibili. È necessario documentare metodologie e assunzioni, indicando il livello di incertezza associato alle stime nel report finale.

Quali sono le sanzioni per non conformità alla normativa UE GHG?

Le sanzioni variano per paese membro. In Italia sono previste multe da 5.000 a 150.000 euro per omessa o incompleta rendicontazione, con possibili sanzioni accessorie come l’esclusione da gare pubbliche o limitazioni all’accesso a finanziamenti agevolati.

Un manager emissioni deve avere certificazioni specifiche?

Non esistono certificazioni obbligatorie, ma quelle riconosciute come ISO 14064, GHG Protocol Corporate Standard Certification o CDP Accreditation aumentano significativamente credibilità e competenze professionali, facilitando l’implementazione di sistemi conformi.

Come integrare i sistemi esistenti con i nuovi requisiti di misurazione?

L’integrazione richiede mappatura dei sistemi esistenti (ERP, gestione energia, procurement) e identificazione dei gap informativi. API e connettori permettono l’automazione della raccolta dati, riducendo errori manuali e tempi di consolidamento.

Prepara la tua azienda alle sfide del reporting ambientale 2026. Scopri strategie, strumenti e best practice nella nostra guida completa alla Green Life Policy aziendale.

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